Cosa dice l'Ordinanza della Corte di Cassazione n. 17183/2020?
Con la Ordinanza n. 17183/2020 la Corte di Cassazione affronta nuovamente il tema del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, assumendo però una posizione del tutto nuova rispetto all’indirizzo giurisprudenziale consolidato da circa 40 anni su questo argomento, secondo il quale “il diritto del figlio di essere mantenuto dai genitori non cessa automaticamente con il compimento della maggiore età, ma si protrae qualora questi, senza sua colpa, non sia ancora economicamente autosufficiente”.
Quindi il genitore che volesse sottrarsi a tale obbligo, dovrebbe agire in giudizio per provare che il figlio non ha più diritto al mantenimento, in applicazione dell’art.2697 c.c. secondo il quale chi contesta l’esistenza di un diritto deve fornire la prova dei fatti estintivi dello stesso.
Cosa cambia con la nuova pronuncia della Cassazione?
Invece, con questa ultima pronuncia (n.17183/2020) la Corte di Cassazione ha assunto un atteggiamento di segno opposto, stabilendo appunto che una volta raggiunta la maggiore età, il figlio che pretendesse di essere ancora mantenuto dai genitori, avrebbe l’onere di proporre una domanda giudiziale e dimostrare di averne ancora diritto, non potendo limitarsi solo ad allegare la condotta omissiva dei genitori.
Infatti nella ordinanza in commento si legge “l’obbligo in questione permane a carico dei genitori sino al momento in cui il figlio raggiunga la maggiore età, in seguito l’obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice”.
Quindi, secondo questa nuova prospettiva della Suprema Corte, l’obbligo al mantenimento del figlio maggiorenne discenderebbe da una dichiarazione giudiziale e non dipende, come accade invece per i figli minorenni, dalla legge.
Le conseguenze della nuova pronuncia
Tre sono le principali conseguenze di questo eclatante cambio di direzione della Corte.
1- L’onere della prova
La prima riguarda l’onere della prova: infatti sorta la questione giudiziale sul diritto al mantenimento del maggiorenne, l’onere della prova ricadrebbe non più sul genitore ma sul figlio.
Quindi si assiste a una inversione dell’onere della prova posto che il figlio maggiorenne non consegue il diritto al mantenimento ipso iure ma per vedersi riconosciuto tale diritto dovrà provare i fatti che giustificano la sua pretesa, dimostrando di non essere ancora economicamente autosufficiente senza sua colpa. Tale nuova distribuzione dell’onere probatorio, secondo l’ordinanza sarebbe maggiormente conforme al principio generale di “prossimità o vicinanza della prova” in base al quale “ove i fatti possono essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l’onere della prova, pur negativa”.
2- Il provvedimento emesso dal giudice
La seconda conseguenza è che il provvedimento emesso dal giudice all’esito del giudizio con cui si dovesse riconoscere il diritto del figlio al mantenimento avrebbe “natura costituiva”. In altre parole, il diritto del figlio al mantenimento, dopo il compimento della maggiore età, sorgerebbe solo con il provvedimento che ne riconosce la fondatezza, di conseguenza egli nulla potrebbe esigere in riferimento al periodo compreso tra il compimento della maggiore età e il momento in cui la domanda giudiziale contro i genitori sia stata proposta. Quindi in conclusione si ritiene che l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne avrebbe carattere “alimentare” e dunque la retroattività parte dalla domanda e non prima.
Come ulteriore conseguenza sembrerebbe quindi doversi escludere anche il diritto al risarcimento dei danni a favore del figlio a carico del genitore che prima della pronuncia di riconoscimento del diritto del figlio al mantenimento, si fosse colpevolmente sottratto agli obblighi di assistenza familiare, con uno sgravio notevole sia dal punto di vista civile che penale.
3- Casi di separazione e divorzio
La terza considerazione riguarda i casi di separazione e divorzio. Infatti è evidente che se, come affermato dalla corte nell’ordinanza in commento, l’obbligo al mantenimento cessa automaticamente col compimento della maggiore età del figlio (escluso naturalmente gli incapaci) anche le disposizioni rese nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio che stabiliscono un obbligo al mantenimento a carico del genitore non collocatario, perderebbero automaticamente efficacia con il compimento del diciottesimo anno dei figli.
Tale effetto si porrebbe in contrasto con un tradizionale orientamento della giurisprudenza secondo il quale “il raggiungimento della maggiore età del figlio non può determinare, nel coniuge separato o divorziato, tenuto a contribuire al mantenimento, il diritto a procedere in modo unilaterale alla riduzione o alla eliminazione del contributo, essendo invece necessaria una pronuncia giudiziale di modifica delle condizioni di separazione o divorzio”.
In ogni caso la Corte in questa pronuncia ribadisce alcuni punti fermi circa la determinazione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne evidenziando anche la differenza tra “il diritto al mantenimento” e “l’obbligo agli alimenti”.
Infatti, nell’ordinanza viene chiarito che non spetta il mantenimento al figlio maggiorenne che si sia avviato ad una attività lavorativa che gli dia una concreta possibilità di raggiungere l’indipendenza economica, si tratta evidentemente del presupposto di estinzione dell’obbligo.
Nella citata ordinanza viene precisato, altresì, che i figli maggiorenni perdono il diritto al mantenimento anche quando hanno conseguito le competenze e i titoli necessari ad una professione che li renda autonomi economicamente.
La Corte poi ribadisce che il diritto mantenimento viene meno quando il figlio colpevolmente o intenzionalmente si sia messo in condizioni di non raggiungere l’indipendenza, sia perché la ricerca del lavoro venga protratta da questo all’infinito nella speranza di trovare il lavoro a cui aspira sia perché ritardi nel completare il corso di studi.
Inoltre la Corte chiarisce che più ci si allontana dai 18 anni, più difficile sarà al figlio dimostrare la permanenza del diritto, quindi man mano che l’età aumenta più gravosa sarà la prova a suo carico.
La Cassazione, infine, ribadisce la diversa finalità tra mantenimento e assegno alimentare, il primo si caratterizza per la sua “funzione educativa”, in quanto finalizzato alla formazione del figlio per prepararlo all’inserimento nella società, il secondo invece è funzionale al soddisfacimento di “bisogni primari e essenziali” (vitto e alloggio) ai quali è commisurato.
Conclusioni
La posizione assunta dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento corrisponde a una soluzione largamente condivisa negli ordinamenti giuridici di common law dove viene individuato un preciso termine finale per la cessazione dell’obbligo al mantenimento dei figli da parte dei genitori (in Inghilterra col compimento dei 16 anni, così in USA) .
In questi ordinamenti il diritto al mantenimento dei figli cessa ipso iure con il compimento della maggiore età o di quella entro cui si concludono gli studi superiori (non quelli universitari). Sicchè, successivamente il genitore può essere obbligato a mantenere il figlio solo in forza di un provvedimento giurisdizionale.
Al contrario in tutti gli ordinamenti dell’area di civil law come il nostro, nei vari codici civili (spagnolo, tedesco, francese) è stabilito l’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli senza individuare in modo rigido un’età o in generale un evento (esempio raggiungimento di un determinato titolo di studio) al cui raggiungimento ricollegare la cessazione ipso iure di tale obbligo.
Quindi l’ordinanza n.17183/2020, non solo disattende il tradizionale orientamento della giurisprudenza, ma risulta anche in controtendenza rispetto agli altri legislatori europei dell’area di civil law.
Risulta evidente che in seno alla stessa Corte si profilerebbe un contrasto sul punto, qualora sopravvenisse una pronuncia di segno opposto, in tal caso sarebbe necessario un nuovo arresto delle Sezioni Unite per dirimere tale contrasto.